lunedì 5 agosto 2013

Il profumo del mare



Il profumo del mare

Tanto tempo fa, il profumo del mare era solo un odore piacevole, che non nascondeva nessun significato nascosto. Solo in seguito lui avrebbe capito quello che era successo e rimpianto quello che non era stato, ma consapevolezza e nostalgia sono due complicazioni dell'età adulta, a cui i ragazzini sono fortunatamente immuni.
La spiaggia di notte, invece, è il tempio dell'adolescenza e perpetua il rito della scoperta del mondo con una precisione quasi maniacale. 
Lui aveva conquistato quello spazio da poco, esattamente come lei. I fidati compagni di quelle serate non meritano neanche di essere citati, ricordi scoloriti dall'album della mente. Solo le emozioni più forti hanno il potere di catturare il tempo e loro avevano scelto di incollarsi l'uno all'altro.  
Da adulti, lui l'avrebbe invitata a cena in un ristorantino sul mare, poi la malizia degli anni avrebbe fatto il resto. In quei giorni, invece, la scalata alle labbra di lei era fatta di rocce impervie e un bacio sembrava una conquista degna di un grande esploratore. Lui cercava di arrampicarsi con l'aiuto di un'ironia in cui già s'intravedeva il riflesso di un futuro disincanto, lei gli forniva continui appigli con quel sorriso che non sarebbe mai più stato così limpido. Le loro sdraio si avvicinarono fino quasi a scontrarsi, ma alla fine rimasero incastrate nell'incanto di quegli anni. Lei lo avrebbe voluto baciare più di ogni altra cosa, ma sapeva che se non lo avesse fatto lui non sarebbe stato lo stesso. Lui cercava il momento perfetto, ma la perfezione è teoria, non pratica. Così, per vivere un amore speciale finirono per non vivere niente. Il tempo non ha pazienza e chi non coglie le proprie occasioni è destinato alla prigione dei ricordi. Lei però, ne uscì appena in tempo, scegliendo di cedere ad un amore autunnale. Lui cercò sempre quella passione estiva, ma non la ritrovò mai. 
Oggi, appena sente il profumo del mare, viene investito da una mareggiata di significati. Quando riemerge a galla, cerca l'odore più importante di tutti, ma non lo trova più. Lei appartiene ad un altro tempo ed un altro luogo, quello della nostalgia. 

lunedì 8 aprile 2013

Gli eroi sanno sempre quello che fanno




Nel 1994, il mio eroe si chiamava Giuseppe Giannini, il principe. Lo stesso valeva per molti altri miei coetanei, ma un bambino non è mai geloso: ha solo bisogno di credere che ci sia qualcuno pronto a proteggerlo dal più grande avversario che conosce, ovvero il disincanto.
Per questo, un gol di Giannini valeva più di quello degli altri, perché era un omaggio diretto alla magia del calcio.
Quello era l'anno della quarta elementare, del sei grande ma non troppo; andavo ancora a letto dopo cena, ma non quando c'era il posticipo. Il posticipo era un rito laico che si compiva con regolarità svizzera quelle poche volte che la Roma giocava la sera. In uno slancio di entusiasmo mio padre si era infatti abbonato a telepiù, costringendo mia madre a lunghe maratone in cucina per fare fronte a tutti gli invitati. Le regole erano ferree: i grandi erano sul divano e i bambini seduti per terra. Poi tutti in religioso silenzio ad ascoltare la telecronaca, in attesa che si gonfiasse la rete avversaria.
Quella sera del marzo 1994, la Roma era impegnata nella partita più importante dell'anno: il derby, ovvero l'unica occasione in cui erano ammessi anche laziali al posticipo. Sempre uno massimo due, ma temuti perché minoranza infausta e pericolosa.
Sullo schermo, scorrono le immagini dei giocatori. Uso il presente, perché nella mente dei tifosi esiste un'unica grande eterna partita. Giuseppe Giannini, il numero dieci, è il leader indiscusso della Roma di Carlo Mazzone. Dall'altra parte del campo, la Lazio di Signori e Marchegiani. Il primo tempo si conclude uno a zero per loro. Poco male, le pance erano ancora piene per la cena appena trascorsa e c'era tutto il secondo tempo per digerire e sperare in Giuseppe Giannini. Lui, l'eroe, non ci tradirà mai.
In effetti la Roma comincia bene. Dopo pochi minuti entra in campo un ragazzetto biondo di nome Francesco Totti. Il principe lo incoraggia subito, ancora non sa che quel giovane diventerà re. Il talento già si vede, ed a metà secondo tempo Francesco entra in area di rigore vicino alla linea di fondo, salta un avversario e viene messo a terra. Rigore. Sulla palla, Giuseppe Giannini, l'eroe. Il gol non potrà mai mancare. Il numero 10 prende la rincorsa e colpisce la palla, che rimane lenta. Sarà un trucco, penso io, perché gli eroi sanno sempre quello che fanno.
Marchegiani intuisce la direzione del tiro e si avvicina sempre di più al pallone. Un istante che dura secoli e poi devia la sfera, respingendola fuori dalla porta. Giuseppe Giannini si mette le mani tra i capelli, ha un'espressione che raramente hanno gli eroi. La partita finisce uno a zero per la Lazio ed io mi scopro seduto sul divano. Improvvisamente, Il mondo è cambiato; è diventato un posto troppo piccolo per la magia, e gli eroi in fondo non sono altro che normalissimi esseri umani.
Passano quasi sei mesi, comincia l'ultimo anno delle elementari. Sono diventato un ometto, come diceva mia nonna. La Roma è ancora allenata da Mazzone ed ha sempre Giuseppe Giannini come capitano. Io continuo ovviamente a seguirla e penso che Giannini sarebbe davvero un grande eroe, se solo non fosse umano. Quell'anno il derby di andata si gioca di pomeriggio, il 27 novembre. Niente posticipo, solo telecronaca alla radio. Il 1994 sembra davvero l'anno del disincanto.
Poi all'improvviso, il colpo di scena: il prefetto, per questioni di ordine pubblico, decide di dare la partita in chiaro su Raitre solo nel Lazio.
Sul divano, solo io e mio padre. Sullo schermo, sfilano di nuovo i giocatori. C'è anche Giuseppe Giannini, il numero 10. Comincia la partita e la Roma si porta subito in vantaggio; neanche il tempo di esultare e si va sul due a zero. A metà secondo tempo, siamo tre a zero. La Lazio non ha mai superato la metà campo. Il merito è quasi tutto di Giuseppe Giannini, il principe. La sua è una prestazione immensa, quasi regale: io sono di nuovo seduto a terra, convinto di aver appena imparato una lezione importantissima. Il rigore sbagliato di marzo serviva solo a farmi capire che la chiave per mantenere intatta la magia è la fiducia: gli eroi infatti non cadono mai per davvero, il loro è solo un trucco per farti gioire di più quando si rialzeranno. Tanti derby sono passati da quel giorno, la Roma ha vinto uno scudetto e giocato partite importantissime: ha vinto ed ha perso, ma io ormai avevo trovato il mio antidoto personale contro il cinismo. Grazie a Giuseppe Giannini, il numero 10, avevo imparato a credere negli eroi.






sabato 2 febbraio 2013

Una farfalla d'inverno




E' fragile il cristallo di boemia, non si adatta a contesti in cui non viene privilegiata la bellezza. Come tutti i gioielli, non sa accettare la sconfitta: o spicca o muore, incapace anche solo di pensare ad un compromesso. Eroe senza riconoscimenti, ha vinto il trofeo della passione, ma perso tutti gli altri. E' un cercatore di poesia pura e come tutti i teorici ha la colpa di non essersi voluto sporcare con il mondo. Rimarrà il più pulito, ma anche il più inutile, perché avrà sempre il demerito di non aver compreso il potere salvifico della vittoria. Lo possiamo considerare l'unico sano in un mondo di pazzi, o l'unico matto in un mondo che sano non sarà mai. Di sicuro, è leggenda che non sa essere storia. Un meraviglioso e inutile cristallo di boemia, fragile come una farfalla d'inverno.